Uno sguardo diverso

9. I francesi sono italiani di cattivo umore

© Tutti i diritti riservati all’autore | Marco Moroldo aprile 2021

 

Dopo una serie di articoli incentrati su tematiche di taglio prevalentemente economico e politico, ora voglio cambiare un po’ argomento e avventurarmi su un terreno diverso, senza dubbio molto più scivoloso e complesso.

In questo scritto, infatti, mi propongo di analizzare alcuni aspetti che, a mio avviso, caratterizzano oggi in senso negativo la società francese. Assumendo un punto di vista che si potrebbe accostare, in modo molto approssimativo, a quello dell’antropologia sociale.

Sono riflessioni che prendono spunto, essenzialmente, dalla mia esperienza di vita. Per motivi lavorativi, infatti, una dozzina di anni fa mi sono trasferito nella zona di Parigi, dove tuttora risiedo. A tale proposito, devo precisare che le considerazioni che farò, di fatto, riguardano in modo specifico questa area metropolitana, e non la Francia nel suo insieme. Cosa non secondaria rispetto alle conclusioni che cercherò di trarre.

Ora, è chiaro che esaminare criticamente le caratteristiche di una certa società è un’operazione molto complessa. Per farlo in modo davvero obiettivo e completo sarebbe necessario un approccio di tipo olistico, che considerasse, ad esempio, aspetti storici, sociologici ed economici. Ovviamente, bisognerebbe effettuare un campionamento adeguato ed applicare le eventuali metodologie statistiche del caso.

In questo scritto non intendo certo affrontare un’operazione di questa portata. La mia è un’indagine essenzialmente empirica, e che quindi può presentare alcuni limiti metodologici. Mi accontenterò di fare delle osservazioni generali, accettando come inevitabile un certo grado di approssimazione e di soggettività.

Tenterò tuttavia di sopperire a queste mancanze seguendo un approccio ex post, per così dire, ovvero esaminando le mie conclusioni attraverso la cornice interpretativa fornita Luigi Anepeta nell’opera “La comprensione critica della realtà umana”. Si tratta di un testo indispensabile non solo per capire i fenomeni trattati in questo articolo, ma più in generale per guardare in modo lucido alle caratteristiche delle società occidentali odierne. In alcuni casi, farò riferimento anche alle idee di Erich Fromm, in particolare attraverso alcuni brani tratti da “Psicanalisi della società contemporanea” e riportati nella già citata opera di Anepeta.

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Veniamo al nocciolo della questione. Dal punto di vista dei rapporti umani, la cosa che mi ha impressionato di più durante gli anni che ho trascorso a Parigi è la sensazione generale di grande freddezza.

Le persone, nella maggioranza dei casi, hanno pochissime amicizie e sembrano vivere in una situazione di sostanziale isolamento. La solitudine è particolarmente frequente nelle fasce più giovani della società, anche in gruppi che dovrebbero essere più inclini a socializzare, come gli studenti universitari.

Non solo le persone appaiono sole, ma accade spesso che, messe di fronte alla possibilità di fare nuove conoscenze, tendano a tirarsi indietro. Si mostrano diffidenti nei confronti degli estranei e quasi infastidite dal contatto umano.

Ed è proprio questo comportamento, di primo acchito contraddittorio, che risulta particolarmente utile per interpretare meglio i meccanismi sottesi a questa fenomenologia. Di fatto, tutte le volte in cui ho intavolato delle discussioni su questo aspetto per cercare di indagarne l’origine, il movente ultimo è emerso in modo abbastanza limpido. Si potrebbe dire quasi disarmante.

Il fatto è che l’amico, spesso, è visto più come qualcosa che può causare seccature impreviste che come un’occasione di arricchimento umano.

Perché l’amico può aver bisogno di confidarsi o perché può chiedere aiuto in un momento difficile. Attività che sottraggono tempo ad altre occupazioni ritenute più importanti e che, ça va sans dire, vengono generalmente svolte in solitudine. Ora, è chiaro che il timore di perdere del tempo prezioso nasconde qualcosa di più profondo, ovvero la paura di un investimento emotivo che possa limitare la propria libertà.

Le stesse considerazioni, ovviamente, valgono anche nel caso dei parenti. Di fatto, una delle cose più sorprendenti per chi arriva dall’Italia è il livello di animosità e di conflittualità che caratterizza le relazioni familiari, spesso contraddistinte da lacerazioni così profonde da apparire quasi incomprensibili.

I rapporti tra genitori e figli si riducono a frequentazioni estremamente sporadiche e, di conseguenza, gli anziani finiscono per essere abbandonati a sé stessi, conducendo un’esistenza priva del benché minimo contatto sociale.

Un’altra cosa che mi ha sempre colpito molto, a Parigi, è il modo di fare particolarmente stereotipato e formale nelle interazioni quotidiane. Le conversazioni sono generalmente incentrate sul registro della correttezza, del politically correct come si dice oggi, e finiscono quasi sempre per essere banali, insipide, prive di trasporto, insomma senza grandi slanci né in senso positivo né in senso negativo.

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Gli italiani, quando arrivano a Parigi, intavolano dibattiti interminabili sulle cause di questi atteggiamenti, che percepiscono come molto distanti dal proprio modo di essere. Cosa che, peraltro, è vera in modo molto parziale, giacché questo stile comportamentale è ormai ben radicato anche nella società italiana.

Le spiegazioni che vengono proposte sono numerose. Una delle più frequenti chiama in causa quello che sarebbe l’innato senso dell’umorismo degli italiani, che consentirebbe di prendere la vita in modo spensierato senza dare troppo peso ai problemi quotidiani. In merito, una frase che viene spesso ripetuta è quella per cui i francesi sarebbero “italiani di cattivo umore”. Il cui autore, paradossalmente, è proprio un poeta francese, ovvero Jacques Cocteau1. Un’altra spiegazione frequente fa riferimento alle differenze di tipo climatico che, ovviamente, favorirebbero la nostra penisola.

E’ chiaro che questi argomenti sono in genere invocati senza effettuare analisi strutturate, restando quindi al livello di semplici chiacchiere. Questo non toglie certo interesse alla tematica, ma spinge a cercare spiegazioni più convincenti altrove.

Nell’opera “La comprensione critica della realtà umana”, Anepeta individua quattro “codici culturali”, ovvero quattro sistemi di valori che, a suo modo di vedere, contraddistinguono l’attuale cultura capitalista. Secondo me, fare riferimento a questi codici permette di interpretare con facilità buona parte dei comportamenti caratteristici della società parigina contemporanea.

Alla luce di questo impianto teorico, appare chiaro come la freddezza discenda dal cosiddetto “codice anestetico” il quale, in buona sostanza, serve all’individuo per reprimere la propria empatia. Cosa, a sua volta, necessaria per adattarsi a un contesto che fa della competizione e della lotta per la sopravvivenza degli ideali di vita fondanti. La repressione dell’empatia promuove il “sangue freddo” e, più in generale, il controllo delle emozioni, configurando così un modo di fare caratterizzato, appunto, da una diffusa freddezza.

La solitudine, come in parte già discusso in un articolo precedente, è legata anch’essa al codice anestetico, poiché la competizione continua riduce di molto le possibilità di stringere rapporti significativi. Accade cioè che le dinamiche di tipo competitivo si trasferiscono dalla sfera del lavoro a quella privata.

In questo caso specifico, però, entra in gioco anche un altro codice culturale, ovvero quello “claustrofobico”. Tale codice, che è legato in modo particolarmente intimo alla cultura neoliberista, identifica la libertà con l’affrancamento da qualsiasi possibile legame e costrizione. E’ evidente che, tra i legami che devono essere evitati nel modo più accurato, vi sono quelli che coinvolgono gli amici e i parenti.

Infine, anche l’atteggiamento stereotipato e convenzionale può essere fatto risalire al codice anestetico. Se, come già discusso, la freddezza discende dalla repressione dell’empatia e dal controllo delle emozioni, la perdita di spontaneità è semplicemente un’altra sfaccettatura dello stesso fenomeno. L’uomo rinuncia a sentire e si accontenta della cosiddetta mediocrità borghese.

In merito a questo aspetto specifico, riporto due passi di Fromm che mi sembrano particolarmente efficaci:

“Oggi ci incontriamo con persone che agiscono e sentono come automi: che non hanno mai avuto un’esperienza veramente propria, che conoscono se stessi non come sono nella realtà, ma come gli altri si attendono che siano, il cui sorriso convenzionale ha sostituito la risata genuina, le cui chiacchiere insignificanti hanno sostituito il colloquio comunicativo, la cui opaca dispera­zione ha preso il posto di un’autentica sofferenza.”

“Che cosa è per l’uomo moderno il rapporto con i suoi simili? È un rapporto tra due astrazioni, tra due macchine viventi che usano l’una dell’altra. Il datore di lavoro usa coloro che egli im­piega; il venditore usa i suoi clienti. Ognuno è una merce per ogni altro, sempre da trattarsi con una certa cordialità perché, anche se non è utile adesso, può esserlo più tardi. Non si trova più molto amore o molto odio nelle relazioni umane odierne. C’è piuttosto una superficiale cordialità, ed una più che superficiale correttezza, ma dietro questa superficie ci sono distanza e indifferenza. Ma v’è anche una buona dose di sottile diffidenza.”

Tirando le somme, si può quindi concludere che le caratteristiche negative da me attribuite alla società parigina contemporanea sono determinate essenzialmente dalla diffusione, in questo caso oramai in larga parte compiuta, dell’ideologia di tipo capitalista.

In questa ottica, il motivo per cui gli italiani si stupiscono davanti a determinati comportamenti è che la cultura del nostro paese, per ora, ha recepito questa stessa ideologia in modo meno avanzato rispetto a una città come Parigi. Certo, a causa della globalizzazione le differenze tra i due contesti sociali non possono essere poi molto forti, però sembrano comunque sufficienti a giustificare uno stupore che, al di là dei luoghi comuni, nasconde una certa dose di verità.

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Guardando però le cose da una prospettiva più ampia, poi, è facile arrivare anche a un’altra conclusione, e cioè che le differenze riscontrabili tra Parigi e l’Italia costituiscono solo un caso particolare all’interno di una fenomenologia molto più generale.

Fromm aveva osservato che il sistema di valori capitalisti si stava strutturando negli Stati Uniti già negli anni ‘50, e aveva immaginato che in seguito si sarebbe esteso a tutti gli altri paesi occidentali. Cosa che, in effetti, è accaduta seguendo uno schema ben noto alla sociologia: i cambiamenti sono recepiti prima dalle aree economicamente più sviluppate, come quelle urbane, e poi da quelle più arretrate, come quelle rurali. Dinamiche simili agiscono anche tra nazioni diverse e tra classi sociali diverse.

Il compimento di tale processo struttura così un gradiente che, al di là delle specificità locali, è del tutto generalizzato, e che va da realtà più sviluppate e allineate ai valori capitalisti a realtà più marginali che ne restano invece meno influenzate.

Di fatto, le osservazioni che fanno gli italiani a Parigi sono più o meno le stesse che fanno i napoletani o i siciliani quando si trasferiscono in Veneto o in Lombardia. E, sia pure su un’altra scala, sono le stesse che può fare chi proviene dalle aree più rurali dell’Italia settentrionale, come il Friuli o il Trentino, e che si trasferisce in aree metropolitane come quelle di Milano o di Torino.

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E’ chiaro che ci sono anche altri fattori che contribuiscono a determinare le differenze da me descritte tra l’Italia e l’area metropolitana di Parigi, anche se in questo caso è possibile fare riferimento alla Francia nel suo insieme. Innanzitutto, riprendendo i concetti esposti da Anepeta, un aspetto fondamentale è il ruolo giocato dal sistema di valori che, storicamente, ha preceduto in occidente quello capitalista, ovvero quello di matrice cristiana.

Tale sistema di valori è stato gradualmente marginalizzato proprio dall’affermazione della civiltà capitalista, che tuttavia non è riuscita a scalzarlo completamente. Nel caso dell’Italia, ad esempio, se ne può constatare una diffusione ancora rilevante, il che fa sì che si mantenga almeno in parte uno stile di vita in cui la convivenza comunitaria è fondamentale. La Francia, che ha invece subito un processo di secolarizzazione particolarmente profondo e precoce, si colloca all’altro estremo da questo punto di vista.

Un altro elemento distintivo della Francia è uno specifico tipo di elitismo, che viene perpetrato dall’organizzazione duale del sistema universitario e da un apparato burocratico particolarmente complesso e avvolto da un’aura di sacralità che difficilmente si riscontra negli altri paesi occidentali.

Questa caratteristica della società irrigidisce la distanza tra le classi sociali e favorisce stili comportamentali imperniati ovviamente sulla freddezza e sulla convenzionalità. Tuttavia, anche in questo caso ci si trova di fronte a una manifestazione della civiltà borghese e, quindi, capitalista.

C’è anche da dire che le mie osservazioni si riferiscono soprattutto a gruppi sociali medio-alti, spesso legati all’ambiente della ricerca pubblica e, di conseguenza, influenzati in modo molto diretto dall’etica borghese. In questo senso, c’è chiaramente un bias nelle mie considerazioni.

Questo, comunque, non inficia in modo sostanziale le mie conclusioni. I gradienti esistenti all’interno di ogni stato e tra stati diversi, infatti, si ritrovano anche tra classi sociali diverse. E, di fatto, i ceti popolari di Parigi e della sua sterminata area metropolitana manifestano un modo di fare molto più spontaneo, caloroso e autentico rispetto ai gruppi sociali più abbienti.

Insomma, al di là del fatto che esistono infinite casistiche particolari e al di là del fatto che la trattazione di questo argomento è piuttosto complessa, sono convinto che ciò che stupisce i mediterranei in una metropoli come Parigi dipenda essenzialmente da un diverso grado di recepimento dei valori portati dalla civiltà capitalista. E sono anche convinto che lo stile comportamentale dei parigini si ritrova in gran parte delle società economicamente avanzate, come nel caso dell’Europa centro-settentrionale o degli Stati Uniti2.

 

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  1. “Les Italiens sont des Français de bonne humeur” nella sua versione originale.
  2. Per completezza, va fatta un’altra considerazione sulla Francia. Se, dal punto di vista di determinati stili comportamentali, questo paese si mostra molto più incline del nostro ad accogliere i modelli neoliberisti, nel caso di altri aspetti culturali manifesta una resistenza molto maggiore. Approfondirò questa tematica in uno dei miei prossimi articoli.

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