Uno sguardo diverso

10. A ognuno il suo modo di dire di no

© Tutti i diritti riservati all’autore | Marco Moroldo settembre 2021

 

Questa volta prendo spunto dalla tematica di attualità che, negli ultimi tempi, riguarda tutti nel modo più diretto, ovvero la pandemia causata dal covid-19. La cosa può essere affrontata da molte angolature, ma ciò che mi interessa qui sono le dinamiche psicologiche legate all’insorgenza dei movimenti che rifiutano le campagne di vaccinazione messe in piedi dalle autorità, ovvero i cosiddetti “anti-vax” o “no-vax”.

Per quanto possa apparire superfluo, devo precisare che la mia analisi prende in considerazione coloro che sono adepti di tali correnti e non coloro che ne definiscono l’ideologia, giacché in questo ultimo caso è molto difficile distinguere le eventuali motivazioni sincere dal puro calcolo di convenienza politica.

Veniamo a noi. I movimenti antivaccinisti di tipo moderno 1, per così dire, esistono da alcuni decenni, ma fino a pochi anni fa erano relegati al margine del dibattito pubblico, configurandosi come una sorta di cultura alternativa. E’ stata la peculiarità e la gravità del contesto a favorire una maggiore diffusione delle loro teorie.

Messa di fronte a tali idee, confusa dal continuo accavallarsi delle scoperte effettuate dai ricercatori – peraltro secondo una dinamica relativamente normale, viste le circostanze – e spaventata da una situazione inedita e drammatizzata dai media, l’opinione pubblica ha esitato a lungo per riuscire a farsi un’idea propria, ma alla fine ha accettato per lo più le scelte dei governi. I dati mostrano che i no-vax rappresentano, almeno in occidente, una minoranza, anche se abbastanza consistente 2.

I partiti politici, dal canto loro, hanno opportunisticamente scelto di appoggiare le autorità oppure le correnti antivacciniste in funzione del loro elettorato. La cosa è molto evidente in Italia, ma casi analoghi si sono verificati ovunque. Un esempio clamoroso è quello degli Stati Uniti.

Nel caso degli scienziati, invece, la reazione è stata molto più compatta. Tranne in situazioni molto particolari, quasi tutti hanno difeso l’efficacia dei vaccini, limitandosi a discutere eventuali problematiche tecniche.

E’ un comportamento coerente con la razionalità che guida, almeno teoria, la scienza. Vaccinare tutta la popolazione sembra l’approccio più efficace per arginare un virus, tanto più in assenza di farmaci curativi.

A mio avviso, invece, ciò che appare discutibile e, in fondo, molto meno razionale, è il modo in cui molti scienziati hanno affrontato un altro aspetto della pandemia. Si tratta del difficile dibattito sul perché siano sorti questi movimenti e su che provvedimenti vadano presi per spingerli ad accettare le scelte degli stati.

Ciò che hanno fatto gli uomini di scienza, spesso, è stato affermare con sicumera che l’unica soluzione per ricondurre sulla retta via coloro che sono contrari ai vaccini è rendere migliore e più accessibile l’informazione e l’educazione scientifica. Non parlo solo degli scienziati che si sono espressi in pubblico, faccio riferimento anche a molti discorsi che sono circolati sulle reti sociali e negli ambiti lavorativi che frequento.

A mio avviso, questa visione delle cose è limitata e ingenua e, soprattutto, tradisce un’arroganza di fondo che è parte del problema stesso e che, di conseguenza, non può contribuire a risolverlo.

Per chiarire subito le cose, devo precisare che non condivido in alcun modo le posizioni dei no-vax. Tuttavia, secondo me, la loro esistenza si deve a una complessa pluralità di fattori, tra i quali una scarsa cultura scientifica è solo uno dei tanti e, forse, non è nemmeno uno dei più rilevanti.

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La scienza, con il rigore del suo metodo, è stata una conquista fondamentale per l’umanità, e questo è fuori discussione. Minimizzarne l’importanza è un errore imperdonabile.

Io sono un ricercatore, e nella scienza ci credo profondamente, però proprio perché si tratta del mio lavoro sono anche ben consapevole di quelli che sono i suoi limiti. Alla base del metodo scientifico c’è la negazione di ogni dogmatismo, pertanto uno scienziato dovrebbe essere innanzitutto critico nei confronti della propria professione e dovrebbe incessantemente interrogarsi su ciò che fa e su come lo fa.

Oggi, invece, molti scienziati si comportano, appunto, in modo dogmatico, facendo della scienza l’unico metro dei fatti umani. Questo atteggiamento li porta a essere simili a dei fanatici religiosi.

Ora, per dimostrare che il legame tra una buona educazione scientifica e la fiducia nella scienza non sia poi particolarmente diretto basta un ragionamento molto semplice.

In un paese come Italia circa l’80-85 % della popolazione si dichiara favorevole ai vaccini. Vogliamo davvero credere che questo 80-85 % possieda una buona educazione scientifica? E’ chiaro che le cose non stanno così. In modo analogo, ci si potrebbe allora chiedere perché gli anti-vax fossero di fatto assenti dal dibattito negli anni ’80. Si può davvero attribuire questa differenza unicamente all’educazione?

Per fare un discorso più radicale, si potrebbe considerare che, come ormai accettato sia dalla psicanalisi che dal cognitivismo, l’incosciente ha il primato nella definizione delle motivazioni dei comportamenti umani 3.

Di conseguenza, la decisione di vaccinarsi dipende da fattori spesso sconosciuti a chi effettua questa scelta, fattori radicati nelle pieghe più profonde della sua storia personale, del suo carattere e della sua cultura intesa come sistema di saperi e comportamenti caratteristici di un certo gruppo umano. Ragionamento che poi, per inciso, potrebbe essere esteso a qualsiasi fenomeno umano.

Intendiamoci, non voglio certo discutere la centralità dell’educazione. Si tratta chiaramente di uno dei punti chiave nel processo di crescita di qualunque uomo. E, in questo senso, è chiaro che lo scadimento qualitativo della scuola, cominciato a partire dal sessantotto e continuato sotto l’azione dell’ondata neoliberista, non può che favorire un movimento come quello dei no-vax. Questo aspetto è particolarmente rilevante in paesi come gli Stati Uniti, dove la scuola pubblica è di qualità particolarmente bassa.

Il punto, però, è un altro. Per come stanno le cose, non bisognerebbe incentivare solo le discipline tecniche e scientifiche, ma si tratterebbe piuttosto di ridare dignità e centralità alle discipline di natura umanistica, che il neoliberismo considera del tutto inutili ai fini produttivi.

A mio modo di vedere, la scienza non sarà mai capace di dare ai cittadini lo spirito critico necessario a capire una realtà che diventa sempre più complessa.

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Fatta questa introduzione, vediamo ora in concreto quali elementi potrebbero favorire la diffusione delle idee antivacciniste. Cominciamo con quelli più generali, che si rifanno cioè a tendenze di fondo di portata più vasta. Ne cito solo tre per semplicità, e senza pretendere di essere esaustivo.

Cominciamo con l’aspetto più banale, ovvero la paura. Che il vaccino possa spaventare non è sorprendente. E’ un prodotto nuovo, realizzato a tappe accelerate rispetto alle procedure standard, e i cui possibili effetti collaterali non sono completamente caratterizzati. Molte delle preoccupazioni circa il suo funzionamento possono essere considerate esagerate, ma non si può dire che non siano almeno in parte condivisibili. In altre parole, c’è ampio spazio per una valutazione individuale.

Ci sono però altri aspetti da approfondire. Una prima considerazione che si può fare, per quanto ovvia, è che la paura alimenta la superstizione. Credo che su questo sia facile essere d’accordo.

La domanda più importante, però, è ancora un’altra. Perché mai una persona dovrebbe avere più paura di un vaccino che della malattia stessa? La risposta, forse, non è immediata, però io tendo a pensare che inconsciamente entri in gioco una visione della malattia come punizione divina, il che implicherebbe che sarebbe comunque preferibile accettare un patogeno rispetto a un rimedio di origine umana.

Passiamo ora al secondo fattore, a mio avviso di straordinaria importanza. Si tratta della diffusione di un generico atteggiamento antistatalista che, secondo l’analisi di Luigi Anepeta, è una manifestazione del codice culturale claustrofobico, uno di quelli che più caratterizzano la cultura capitalista 4. Tale codice identifica la libertà dell’individuo con l’affrancamento da qualsiasi possibile legame e costrizione.

L’antistatalismo si manifesta in forme diverse. Una prima modalità, tipica delle destre anglosassoni, consiste nel voler ridurre al minimo il peso dello stato, ad esempio in termini di welfare, perché lo stato è visto sempre come un freno al dispiegamento del potenziale del libero mercato e della libera iniziativa.

Ronald Reagan, affermando che “Lo stato non è la soluzione del nostro problema, lo stato è il problema”, espresse in modo sin troppo chiaro il concetto. Di fatto, negli Stati Uniti la cosa è talmente estrema che lo stesso welfare, in toto, può arrivare a essere visto come un freno alla libertà individuale.

E’ interessante osservare che questo tipo di antistatalismo accomuna due gruppi sociali dagli interessi completamente diversi. Da una parte c’è un gruppo a reddito molto elevato, che dall’antistatalismo ha tutto da guadagnare, ad esempio grazie al taglio delle tasse. Dall’altra, invece, c’è un gruppo a reddito molto basso, che in termini razionali dall’antistatalismo non ha nulla da guadagnare, ma che, con la protesta, sfogo la rabbia derivante dall’impoverimento che proprio il capitalismo stesso ha causato.

Questa particolare distribuzione bimodale, per così dire, si ritrova anche tra coloro che rifiutano il vaccino, ad esempio negli Stati Uniti e in Italia. La cosa suscita accenti di sorpresa, ma a ben guardare si tratta dello stesso dualismo appena descritto, e così  tipico di molti partiti di destra contemporanei.

Il secondo tipo di antistatalismo si pone all’altro estremo dello spettro ideologico. Si tratta della variegata galassia dei movimenti antisistema di sinistra, che vedono ogni autorità come intrinsecamente castrante e che, quindi, odiano lo stato non tanto per la presunta invadenza delle politiche sociali, ma perché detentore ultimo del potere.

Chiudiamo con il terzo fattore che, a mio modo di vedere, sottende le teorie anti-vax, ovvero l’influenza strisciante della filosofia post-moderna. Questo insieme di correnti di pensiero, anche se molto diversificate tra loro, sostengono tutte l’impossibilità, da parte dell’uomo, di conoscere in modo compiuto la realtà.

Questo apre a ogni tipo di relativismo culturale e porta, inevitabilmente, a una sfiducia verso la scienza, che è vista come simbolo stesso della volontà di giungere a una conoscenza coerente dell’esperienza e che, quindi, viene attaccata in modo particolarmente aggressivo 5.

Il relativismo culturale ha avuto successo in molti ambienti di destra, come la “alt-right” statunitense. Una certa sfiducia verso la scienza, invece, si è diffusa in modo più ampio, interessando anche la sinistra.

Qui, è notevole osservare come certe idee condizionino il pensiero collettivo in modo davvero del tutto inconscio. La filosofia post-moderna si studia limitatamente a scuola e, in generale, è così poco conosciuta che pochissimi la chiamerebbero in causa in riferimento ai no-vax. Quasi non se ne conosce il nome. Eppure, la sua critica contro la scienza è chiara, ed è difficile non scorgere un legame con queste ultime ideologie.

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Concentriamoci invece ora su una seconda serie di aspetti, in questo caso molto più specifici e di portata più limitata, ma ugualmente importanti ai fini della nostra analisi.

Il primo aspetto è il fatto che, negli ultimi decenni, è diventato sempre più evidente e imbarazzante il legame tra poteri economici e scienza, cosa che si manifesta ad esempio nel caso di svariate multinazionali. Queste imprese, grazie a dotazioni finanziarie cospicue, esercitano un’attività di lobbying incessante nei confronti degli stati, determinando forme di corruzione sempre meglio documentate.

Un caso lampante è quello dell’industria dello zucchero, che negli anni ‘60 ha letteralmente commissionato vari studi scientifici volti a dimostrare la pretesa azione benefica del saccarosio 6. Esempi analoghi riguardano il settore petrolifero e quello farmaceutico, e gettano ovviamente discredito su tutta l’attività scientifica.

Il secondo è il comportamento degli scienziati. La figura del ricercatore idealista, che dedica la propria vita al progresso dell’umanità, è sempre più anacronistica. La scienza, oggi, è uno degli alleati più indispensabili del capitalismo, che ne ha bisogno per espandere i propri mercati e aumentare la propria efficienza.

Gli scienziati, di conseguenza, si conformano sempre più spesso a un modello manageriale, di ispirazione anglosassone, che predilige la competizione e la ricerca della fama e del denaro. Sono personaggi spesso molto mediatici, che si presentano in modo arrogante come depositari dell’unica verità possibile.

Insomma, scienziati più che mai rinchiusi in una torre d’avorio, dove però vorrebbero stare in compagnia di personaggi famosi. Una parte del pubblico prova ovviamente invidia o ammirazione nei confronti di queste persone. Un’altra parte, però, prova invece una forma di repulsione che porta a reazioni di scetticismo.

Un terzo elemento che favorisce le idee no-vax è l’individualismo, strutturalmente legato al capitalismo. E’ un fattore che interagisce in modo trasversale con tutti gli altri, secondo dinamiche talora molto complesse.

Nel nostro contesto, l’individualismo si manifesta nell’atteggiamento di chi decide di aspettare di vaccinarsi per vedere quali sono gli eventuali effetti secondari sulla pelle altrui, per così dire. E’ chiaramente un comportamento intriso anche di paura e di sfiducia.

Un quarto fattore è quello a cui ho già fatto riferimento, ovvero lo scadimento del livello educativo. Ribadisco che il problema riguarda non tanto e non solo le materie scientifiche, quanto quelle umanistiche.

Va benissimo avere la capacità di valutare determinate evidenze scientifiche, come ad esempio quelle relative alla fisica o della biologia, ma per avere uno spirito critico tout court bisogna padroneggiare la logica, possedere una cultura generale approfondita e capire che esiste un legame inestricabile tra materie a prima vista slegate tra loro, come storia, politica e scienza.

Infine, un ultimo elemento è costituito dalle cosiddette teorie cospiratorie. Tali teorie sorgono a causa di molti fattori, alcuni dei quali peraltro legati a quanto già discusso, ma un aspetto rilevante che viene spesso trascurato è il bisogno di sentirsi “importanti” in un mondo che fa dello status una necessità vitale.

Appartenere a un gruppo chiuso, che si ritiene portatore di una verità rivelata solo a pochi eletti, diventa così un modo per pensare di essere qualcuno. Non a caso le teorie cospiratorie sono particolarmente diffuse negli Stati Uniti, paese fortemente elitista e ossessionato dall’esibizione dello status.

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Trarre conclusioni a partire da questa lunga e complessa analisi è tutt’altro che facile. Il fenomeno no-vax, di fatto, è uno spaccato della nostra società e ne mette a nudo tutta la contraddittorietà, tutta la complessità e tutte le problematiche che sono andate accumulandosi negli ultimi quarant’anni.

Il problema di fondo, semplicemente, è il sistema socio-economico in cui viviamo. Con l’egemonia culturale capitalista, la critica sistematica nei confronti dello stato, i continui richiami al successo, allo status e all’arricchimento, l’individualismo e l’accettazione di un relativismo culturale che impedisce ogni narrazione organica della società. E con un mondo scientifico spesso poco presentabile dal punto di vista etico, dominato da scienziati impegnati più a promuovere la propria immagine che il bene comune.

Il problema è anche che la paura fa parte dell’uomo, e che la modernità con tutta la sua tecnologia e la sua pretesa di controllo totale su ogni problematica non solo non può eradicarla, ma anzi finisce per amplificarla.

Una cosa, quantomeno, mi sembra abbastanza chiara. Pensare che si possano vincere le resistenze dei no-vax attraverso una migliore educazione scientifica è illusorio. Non dico che non sia importante investire in questo senso, ma si tratta di un’azione dall’efficacia molto parziale.

A parte soluzioni di tipo coercitivo, peraltro largamente giustificabili vista la difficoltà del momento, sarebbe molto più utile fornire alla gente una migliore cultura generale, nozioni più approfondite di storia, filosofia e psicologia e, soprattutto, uno spirito critico più acuto e una migliore capacità introspettiva. Tutte cose che il potere, ovviamente, evita di fare.

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So che non è facile calare tutte queste considerazioni nell’esperienza quotidiana. Si tratta di schemi generali, che variano in funzione di molti fattori. Le differenze culturali tra i vari stati, ad esempio, hanno un ruolo importante benché, al momento in cui scrivo (settembre 2021), le percentuali di vaccinati in Europa occidentale stiano sostanzialmente convergendo in paesi come Italia, Spagna, Germania e Inghilterra.

Un discorso simile vale anche a livello di singole persone, anche se talora è possibile scorgere correlazioni piuttosto chiare. Ad esempio, coloro che presentano vissuti opposizionistici, nell’accezione data al termine da Luigi Anepeta, tendono a seguire movimenti antisistema di sinistra e sono più aperti verso i no-vax.

Un’ultima cosa. La mia argomentazione parte da una critica piuttosto forte nei confronti degli scienziati, semplicemente perché li conosco bene. Questo non significa però che io consideri la categoria peggiore o più criticabile delle altre. Analizzare le cose in questo modo non avrebbe alcun senso.

In un’ottica socialista, appare chiaro che gli scienziati subiscono l’influenza della cultura dominante come qualsiasi altro gruppo sociale.  E il fatto che abbiano una cultura scientifica avanzata non necessariamente dà loro gli strumenti per interpretare correttamente la realtà o per trattare gli altri “comuni mortali” come dovrebbero, con la capacità di ascoltare e scrutare le paure altrui e senza il bisogno di porsi su un piedistallo.

L’arroganza che ho percepito così spesso, purtroppo, è figlia del nostro tempo, così come figlia del nostro tempo è la grande frammentazione delle motivazioni che sono sottese al rifiuto del vaccino.

 

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  1. Ho usato la parola moderni per distinguerli dai movimenti che hanno portato avanti istanze simili prima degli anni ’80, grossomodo. I gruppi antivaccinisti sono sorti più volte negli ultimi due secoli. In sostanza, esistono da quando sono stati concepiti i primi vaccini.
  2. Qui andrebbe fatta una precisazione relativa alla definizione stessa del movimento no-vax. Ai fini della nostra discussione, faccio riferimento a coloro che, in una fase ormai avanzata dell’implementazione dei piani di vaccinazione (settembre 2021), dichiarano di non volersi vaccinare. In termini percentuali, questa fascia della popolazione sembra assestarsi un po’ dovunque attorno al 15-20 %.
  3. In merito, si veda ad esempio “La comprensione critica della realtà umana” di Luigi Anepeta.
  4. Si veda ancora “La comprensione critica della realtà umana” di Luigi Anepeta.
  5. Di fatto, la critica post-moderna alla scienza contiene anche elementi condivisibili, in particolare l’idea secondo cui l’uomo non dovrebbe comportarsi da dominatore della natura. Tali elementi, tuttavia, sono passati in secondo piano nel momento in cui la filosofia post-moderna è stata recuperata dalle destre, che ne hanno esaltato soprattutto il già citato relativismo al fine di rendere confusa l’interpretazione della storia e di rendere accettabile, in ultima analisi, qualsiasi idea.
  6. Si veda, ad esempio, questo articolo.

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