3. Le élite e il mondo dorato del networking. Una provocazione
© Tutti i diritti riservati all’autore | Marco Moroldo gennaio 2018
In alcuni miei articoli precedenti ho parlato di come, a partire grosso modo dalla fine degli anni ’70, abbia avuto luogo nei paesi occidentali un graduale e generalizzato scadimento della politica e della società. Ho trattato l’argomento considerando due aspetti, ovvero da una parte l’effetto dell’ondata neoconservatrice anglosassone e, dall’altra, l’alternanza dei cicli storici in un’ottica “polibiana”.
C’è un’ulteriore elemento su cui voglio concentrarmi nell’analisi di questo fenomeno, elemento che è di fatto strettamente connesso alla fenomenologia dei cicli storici. Si tratta delle modalità e delle dinamiche attraverso le quali si strutturano e si perpetuano le reti di potere delle élite economiche.
Con l’espressione rete di potere intendo l’insieme delle relazioni che intercorrono tra gli individui che gestiscono il potere e che, in quanto tali, sono indispensabili al mantenimento del sistema di potere stesso. Si può parlare anche, in modo più generico, di reti di contatti oppure, secondo la terminologia anglosassone, di “power network”.
Certo, si potrebbe obiettare che questo è soltanto un aspetto secondario di un problema più ampio, ovvero la comprensione delle dinamiche attraverso le quali le élite dominano le non élite. Credo però che il ruolo delle reti nella gestione del potere sia oggi così rilevante da meritare una discussione a sé.
D’altro canto, per rendersi conto dell’importanza di questo argomento, basta osservare con quanta attenzione se ne stiano occupando i sociologi, i politologi, gli economisti e il settore accademico in genere. La cosa è particolarmente evidente nel mondo anglosassone. Potete trovare qui un esempio di libro di testo universitario che tratta dei networks ma la scelta è davvero vasta.
Uno degli aspetti che mi interessano nell’analisi delle reti di potere è il fatto che hanno bisogno di tempo per organizzarsi. Ed è proprio questo, nello specifico, che fa sì che si sviluppino in funzione delle alternanze dei cicli storici.
In questa prospettiva, la mia ipotesi è che le attuali reti e le attuali consorterie si siano organizzate essenzialmente a partire dal dopoguerra. Senza dubbio, parte di esse esisteva già in precedenza, tuttavia secondo me il grosso si è strutturato dopo, sfruttando il lungo periodo di pace che abbiamo vissuto e che stiamo tuttora vivendo in occidente.
Ora, è chiaro che i network ci hanno messo del tempo a definirsi e così, fino a qualche tempo fa, la cosa si notava meno. Oggi, però, siamo al culmine del processo, e la cosa vale per molti paesi. In Italia, ad esempio, si parla sempre della gerontocrazia e di tutto ciò che ne deriva, ma, tanto per dire, Trump è il presidente più vecchio della storia degli Stati Uniti e la sua amministrazione presenta l’età media più alta degli ultimi quattro governi (potete trovare dati più concreti qui, qui e qui).
Un’altra spia che la dice lunga sull’importanza del networking viene ancora una volta dal mondo anglosassone. Negli ultimi due decenni hanno assunto un’importanza straordinaria i cosiddetti “MBA” (Master in business administration), dei programmi di specializzazione postlaurea volti a formare i futuri manager. Ebbene, è risaputo che, al di là delle chiacchiere, una delle cose principali che vengono trasmesse da queste scuole sono dei contatti utili a entrare nei giri che contano. La cosa è così formalizzata che esistono materie di studio specifiche, come si spiega ad esempio in questo articolo.
Passando invece alla Francia, un caso che conosco più da vicino, pur non avendolo vissuto in prima persona, è quello delle “Grandes Ecoles”. Nel sistema francese, le Grandes Ecoles sono degli istituti di insegnamento universitario particolarmente prestigiosi, ai quali si accede tramite una dura selezione. Si tratta di una sorta di università parallele che si concentrano soprattutto sull’insegnamento delle tecniche di amministrazione dello stato, dell’economia, dell’ingegneria e dell’agronomia.
In origine, ovvero più di due secoli fa, queste scuole erano state create nell’intento di selezionare i migliori funzionari dello stato, e si basavano su criteri strettamente meritocratici. Non per niente, l’amministrazione francese è stata storicamente considerata un esempio di efficienza a livello europeo, e a ragione. A tale proposito, basta pensare agli interventi lungimiranti di Napoleone, a cui si devono il codice civile, l’istituzione dei dipartimenti o ancora la creazione dei moderni licei.
Purtroppo, però, se il passato è stato glorioso, oggi il sistema delle Grandes Ecoles si è inceppato. Certo, l’esame pubblico di selezione è stato mantenuto, ma si sono sviluppati altri meccanismi che, di fatto, favoriscono l’accesso soprattutto ai figli dell’alta borghesia.1 A livello pratico, i due terzi degli studenti delle Grandes Ecoles provengono da famiglie di questo tipo.
Un numero molto elevato di presidenti della repubblica, indipendentemente dal partito di appartenenza, proviene addirittura dalla stessa Grande Ecole, la famosissima “ENA” (Ecole nationale d’administration). E’ il caso di Macron, di Hollande, di Chirac oppure di Giscard d’Estaing.
Nel settore privato le cose sono ancora più sbilanciate. Un’inchiesta effettuata da due sociologi nel 2007 ha mostrato che l’84% dei dirigenti che lavoravano per le imprese facenti parte del CAC 40, ovvero il principale indice di borsa francese, provenivano dalle Grandes Ecoles, e il 46% da tre soli istituti. Sono numeri che si commentano da soli.
Insomma, io penso che siamo di fronte a un fenomeno globale, che ovviamente si declina in modo diverso a seconda dei diversi stati e dei diversi contesti. La sostanza, tuttavia, non cambia.
A questo punto, voglio spingermi a fare un parallelismo un po’ provocatorio. Nel tanto discusso “Il capitale nel XXI secolo”, l’economista francese Thomas Piketty analizza le dinamiche di distribuzione dei redditi e delle diseguaglianze economiche negli ultimi due secoli, dedicando particolare attenzione al periodo che va dal dopoguerra sino a oggi.
Uno dei punti più interessanti della sua analisi è il fatto che la seconda guerra mondiale, distruggendo capitale, ha di fatto ridotto le diseguaglianze. La cosa si può vedere, ad esempio, in termini di proprietà immobiliari: immaginiamo che una persona possieda dieci case, e un’altra solo una, e che, a un certo punto, un bombardamento le distrugga tutte. A seguito di questa catastrofe, entrambe le persone si troveranno a non possedere più nulla, e la diseguaglianza sarà stata livellata, per così dire.
Dopo la seconda guerra mondiale, questo effetto di livellamento è venuto meno (almeno in occidente) e, gradualmente, le diseguaglianze legate alle rendite si sono accumulate di nuovo.
In questa ottica, la mia ipotesi è che un meccanismo simile abbia avuto luogo nel caso delle reti di potere. La guerra ha avuto l’effetto di distruggere o, quantomeno, di disorganizzare una parte di tali reti. Con il tempo, però, hanno ricominciato a strutturarsi e ad accrescere la loro importanza.
La domanda che mi pongo, allora, è questa: che cosa dovrà accadere affinché l’influenza e l’invadenza di questi network potentissimi e onnipresenti possa essere di nuovo ridotta e controllata? Sarebbe possibile pensare dei meccanismi non violenti che possano agire in tale senso?
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